Ricordiamo la tragedia ferroviaria del 21 marzo 1943 quando 137 militari morirono a Caltanissetta

Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale. Il monumento è composto da un basamento a tronco di piramide a base quadrata, con gradinata sulla parte anteriore, e da una statua che rappresenta la Patria riconoscente, che cinge l’elmetto fregiato di lauro e quercia. In una mano regge il libro della Storia e la palma della pace vittoriosa e con l’altra indica alla gente il sacrificio delle vittime. Sotto c’è un eroe che stringe al petto il Tricolore. Ai lati della base della statua ci sono due cannoni e, tra essi, una corona d’alloro in bronzo. Data di collocazione: 16/12/1922
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di Luigi Asero

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Pochi ricordano una gravissima tragedia che il 21 marzo 1943 fece strage di giovani militari. Casualmente ci siamo imbattuti in due articoli di due differenti testate online e siamo venuti a conoscenza della storia. Le testate sono “Sicilia on Press” (articolo di Joseph Zambito) e “il Fatto Nisseno” (articolo di Angelo Sole).

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Si tratta di articoli risalenti ad alcuni anni fa, che sicuramente ebbero un buon seguito di lettori. Non tale però da risvegliare la mente dei siciliani, e delle Istituzioni che li governano, per ricordare annualmente il tragico evento. Per tale motivo decidiamo di riportare quei tragici fatti così come narrati dalle testate che a loro volta riportano la testimonianza dell’allora cavaliere ufficiale e capostazione sovrintendente ex titolare di Agrigento, Salvatore Carapezza.

Questo il racconto del signor Carapezza riportato negli articoli.

La targa in memoria dei caduti del treno 8860 posta alla stazione FS di Caltanissetta Xirbi
La targa in memoria dei caduti del treno 8860 posta alla stazione FS di Caltanissetta Xirbi

Il 19 marzo 1943 il treno 8864 era in partenza da Castrofilippo per raggiungere Termini Imerese. Su quel treno viaggiavano 800 militari del 476° battaglione costiero. A Canicattì era stata mitragliata la locomotiva di testa ed era ripartita dopo un giorno alla volta di Caltanissetta Xirbi. All’ingresso di Serradifalco, un aereo nemico mise fuori uso la locomotiva di testa, il treno rimase fermo ancora un altro giorno e fu stato sostituito con il treno 8860. Il convoglio, alle 4 del 21 marzo, giunse a Caltanissetta centrale e alle 5,10 il dirigente movimento chiese il consenso telegrafico ed io trasmisi il via libera. Alle 15,15 il capostazione in seconda, Candido Casagni, mi trasmise la partenza telegrafica quindi mi affacciai per comunicare la manovra del treno in arrivo. Dopo alcuni minuti uno strano rumore destò la mia attenzione. Si trattava di un rumore cupo, assordante e prima che me ne rendessi conto, vidi sbucare dalla galleria un tender che lanciava il suo carbone in tutte le direzioni. Dai finestrini i soldati facevano cenni con le braccia: il treno era ormai senza controllo e investì il convoglio in manovra. Nel violento impatto scoppiarono anche gli esplosivi: pezzi di convoglio e di uomini calavano dal cielo. C’era gente con le ruote dei vagoni sul petto, arti disseminati ovunque, pezzi di corpi pendenti dai veicoli. I soldati superstiti trasportarono i colleghi feriti alla stazione. I morti furono 137 e i feriti 360. Pare che tutto si riconducesse a un sabotaggio”. Alla stazione di Caltanissetta Xirbi esiste una stele a ricordo dei caduti, con la data marzo 1943. Il nostro ospedale era l’ unico funzionante in città: danneggiato gravemente dalle incursioni aeree l’ ospedale civile “Vittorio Emanuele” distrutto, prima ancora di essere attivato, l’ ospedale militare che si stava allestendo nella scuola di Santa Lucia, dissolti i vari ospedaletti da campo al seguito delle nostre truppe in ritirata.

I feriti, gli ammalati, i vecchi sofferenti, erano tutti ricoverati in questo che era diventato un porto-rifugio specialmente per i militari «continentali» che non avevano la possibilità di raggiungere le famiglie. Solo i feriti del 476° battaglione costiero del 17° reggimento fanteria, superstiti di quel treno carico di soldati avevano fatto in tempo prima dell’ invasione della Sicilia a ritornare a casa in licenza di convalescenza. La popolazione nissena era stata prodiga di visite e di regali ai feriti, in maggioranza veneti e lombardi, durante la loro degenza in ospedale. I 137 morti, composti dalla pietà di un sacerdote (padre Carvotta) e dei ferrovieri, dei soldati, dei contadini accorsi dalle campagne vicine, erano stati trasportati al cimitero su autocarri, coperti da tende per «non allarmare la cittadinanza». Ma le donne dei quartieri popolari, al passaggio del triste convoglio, erano scese in massa per le strade e avevano seguito gli autocarri piangendo e invocando ad alta voce: «Figli, figli miei!», secondo la nostra usanza siciliana. A distanza di tanti decenni qualche anziano ferroviere, che prestava servizio presso la stazione centrale di Caltanissetta, ipotizza ancora il sabotaggio per opera di un operaio sindacalista delle ferrovie che chiuse le valvole di frenatura ai vagoni. Essendo il percorso, Caltanissetta Centrale – Caltanissetta Xirbi, tutto in discesa non fu possibile rallentare il convoglio con la sola frenatura della motrice. C’era la guerra ed era l’anno del bombardamento a Caltanissetta e dintorni. Tutto fu messo a tacere. Non fu fatta alcuna indagine. Buona parte dei Nisseni sconosce la tragedia di Xirbi. I militari deceduti, veneti e lombardi, erano tutti giovanissimi di età compresa tra i 21 e 30 anni. Perché non ricordali?

Queste erano le parole del signor Carapezza. Abbiamo provato a fare delle ricerche per questa storia di Sicilia, relativamente recente, che nessuno sembra voler ricordare. Sul canale video Youtube abbiamo trovato un video, realizzato dal signor Daniele Asero (semplice omonimia con lo scrivente) che decidiamo di inserire nell’articolo. Perché le immagini a volte aiutano a ricostruire quanto non è pensabile fare con la semplice memoria. [prosegui la lettura dopo il video]

 

 

Cosa accadde quel 21 marzo 1943? In Sicilia si preparava già in gran segreto l’operazione Husky che nel luglio dello stesso anno avrebbe portato allo sbarco dei nuovi alleati. Un’operazione che ha liberato la  Sicilia (con una nuova occupazione, invisibile e tacita) ma anche un’operazione che si svolse secondo strani “auspici”. Tanti sono i dubbi infatti lasciati dalla storia.

Questa tragedia, finora sfuggita anche alla nostra attenzione, ci lascia perplessi. Infatti… Chi lanciò a folle velocità la carbonaia da Caltanissetta Xirbi contro il convoglio 8864/8860? Come spostò quel pesante mezzo da solo (se si dovesse credere all’ipotesi del folle) in galleria prima di lanciarlo? Perché non si volle, neanche a guerra finita, fare un’indagine approfondita sulle cause di quel disastro? La tesi della vendetta di un operaio licenziato dalle ferrovie (peraltro sembra rimasta solo come ipotesi) non ci convince molto per i suddetti motivi.

Chi lanciò quella carbonaia sapeva della presenza di materiale esplosivo, sapeva bene come avrebbe colpito e cosa avrebbe prodotto. Più che l’azione di uno squilibrato a noi appare un sabotaggio ben congegnato.

Che fosse un messaggio inviato a “qualcuno” che avrebbe dovuto in seguito fornire appoggio all’operazione Husky? Sono congetture. Soltanto congetture. Come tutti i teoremi che riguardano le storie di Sicilia. Eppure sono congetture che hanno un loro “perché”.
Quando si parla di “trattativa” Stato-mafia (e degli altri “soggetti” in campo) infatti, bisogna sapere che le trattative (non certo una soltanto) partirono proprio in quel tragico 1943. Chissà che il treno 8860 non fu il primo attacco alla Libertà di uno Stato che mai veramente “libero” è stato.

 

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